Nonostante la crisi, le ricerche del comparto rivelano che le spesa alimentare degli italiani è aumentata dell’1,5%. Eppure sarebbe sbagliato ritenere che l’incremento abbia esclusivamente a che fare con il boom delle trasmissione televisive che trattano di cucina o con una qualunque altra tendenza passeggera, perché a osservare il dato con più attenzione emergono motivazioni molto più articolare e longeve.

Gli italiani e la bottega

Basti pensare ai punti vendita della grande distribuzione, che negli ultimi tempi stanno cambiando ancora una volta forma. Una forma che non ha nulla di avveniristico: proposte tematiche, abbinamenti consigliati, prodotti biologici, territoriali o di qualità. È la vecchia bottega, insomma, che viene riassortita e moltiplicata tra gli scaffali dell’ipermercato, quasi a confermare la ricchezza di una storia che è ancora gravida di futuro.

In Italia del resto è già attiva una rete commerciale di 750.000 negozi fissi e 200.000 ambulanti, qualcosa come un punto vendita ogni 64 consumatori, una realtà che anche quando non assume la forma fisica della piccola bottega ne riproduce i meccanismi e le proporzioni. E a questa rete bisogna aggiungere l’attività in crescita del commercio online, che entro il 2021 dovrà aggiudicarsi – stando alle stime – il 7,3% del mercato.

La salute ci guadagna

Oltre alla qualità dei prodotti, allora, se la spesa alimentare degli italiani aumenta lo si deve anche alla presenza di un tessuto commerciale che seleziona, propone, consiglia, sostenendo l’amore per la cucina e la buona tavola con le risorse di una volta, quando nei piccoli negozi di dischi o nelle drogherie ci si andava soprattutto per imparare: alzi la mano chi non ha mai chiesto una ricetta o anche solo un suggerimento al macellaio!

Più nel dettaglio, le indagini dell’Istat hanno rivelato che la spesa media delle famiglie italiane per i prodotti alimentari, nel 2016, è stata di 447,96 euro mensili (era 441,50 euro nel 2015). Quella per la carne, pur restando la componente alimentare più importante, torna a diminuire, attestandosi a 93,53 euro mensili (da 98,25 nel 2015). Le spese per frutta e vegetali aumentano entrambe del 3,1% rispetto al 2015, salendo rispettivamente a 41,71 euro e a 60,62 euro mensili. Pesci e prodotti ittici sono la voce con il maggiore aumento (+9,5%, fino a 39,83 euro mensili). I consumi alimentari – concludono quindi i ricercatori – sembrano confermare una crescente attenzione per una più corretta alimentazione.

Si tratta naturalmente di processi e di tendenze che richiedono un sistema molto complesso di interpretazione, ma tra i fattori che hanno favorito l’aumento si direbbe proprio che sia intervenuto un rilancio del rapporto tra la qualità del cibo e la salute che proprio nella dimensione della bottega viene articolato in modo specifico, tradizionale e soddisfacente.

Spesa alimentare e fiducia

Per il proverbio è assolutamente inutile chiedere all’oste se ha buon vino, perché quello risponderà chiaramente di sì: il vino lo vende. Ma se una volta a casa quel vino ci dovesse procurare un terribile bruciore allo stomaco o il mal di testa, quell’oste avrebbe definitivamente perso la nostra fiducia. In un settore in cui operano 900.000 esercenti, allora, l’aumento delle spese alimentari avrà sicuramente a che fare anche con l’eventualità che l’oste risponda «No, questo vino non lo bere, con questo è meglio cuocere il brasato».