In Calabria le tradizioni natalizie stabiliscono che per il cenone della Vigilia siano servite esattamente tredici portate, non una di più né una di meno, dall’antipasto fino ai dolci. Nero su bianco si direbbe un numero incredibile, quasi spropositato, ma se dovessimo contare i piatti che nelle stesse ore finiscono sulla tavola di tutti gli italiani scopriremmo che pur variando da regione a regione, il menù di Natale rimane dovunque molto impegnativo.

Partiamo dal dolce: il panettone

È dalla Lombardia che si è diffusa l’unica tradizione che probabilmente unisce l’Italia dalla Valle d’Aosta a Capo Passero, quella del panettone, grazie all’esperimento di un garzone di nome Toni che un bel giorno si prese la libertà di aggiungere alla ricetta per il pane del fornaio presso il quale lavorava anche burro, zucchero, uova, uvetta e frutta candita.

Non che prima di Toni mancassero i dolci: la cubaita siciliana, cioè il croccante, il torrone di Alvito, lo strüdel in Alto Adige, il pandolce genovese, il panforte toscano e la grande pasticceria di Napoli, dove chi preparava gli struffoli – per evitare che scoppino – doveva tenersi assolutamente alla larga dalle persone invidiose.

Tradizioni natalizie italiane: il trionfo della golosità

Se quella del panettone è principalmente una produzione industriale, infatti, a caratterizzare il menù degli italiani in questo periodo dell’anno sono soprattutto le ricette ereditate, con tutte le varianti e i segreti del caso, dalle tradizioni natalizie che si sono stratificate nel tempo in tutti gli angoli del Paese. Una prima importante distinzione è il momento di ritrovo “ufficiale” scelto da ogni famiglia. Come nella migliore tradizione dei dualismi all’italiana, la grande domanda è: cenone della Vigilia (come più spesso diffuso al Centro e al Sud) o pranzo del 25 (usanza più frequente al Nord)?

Considerando che in molte zone del paese, è usanza per la Vigilia mangiare “di magro”, cioè evitare la carne, non si tratta di una differenza da poco. Così può succedere che per festeggiare si mangino la pasta con le sarde, come avviene in Sicilia, il baccalà con i peperoni essiccati al sole, come avviene in Basilicata, oppure dei semplicissimi spaghetti al tonno, per esempio in Emilia-Romagna, dove sui fornelli stanno già bollendo il manzo o il cappone per il giorno dopo.

In Veneto è tipica la polenta con il baccalà e in Lombardia l’anguilla, ma forse il piatto più mangiato della Vigilia rimane il capitone la femmina dell’anguilla). Si tratta di un piatto che, per alcuni, ha anche un valore simbolico e religioso: vista la sua somiglianza con un serpente, mangiare il capitone significherebbe trionfare sul tentatore di Eva, sommando ai vantaggi del palato quelli della coscienza. In Campania viene servito fritto o in umido, mentre in Puglia viene cotto alla brace.

La pasta ripiena

A farla da padrona, il giorno dopo, sarà la pasta ripiena: gli agnolotti in Piemonte, i culurgiones in Sardegna, i tordelli a Lucca, i ravioli in Liguria, gli anolini a Parma e i cappelletti a Bologna, nelle Marche e nel Lazio, in brodo, nel burro fuso o con il ragù. A seguire un po’ dovunque gli arrosti e i bolliti misti, la carbonata cotta nel lardo della Valle d’Aosta o l’abbacchio con le patate a Roma, ma sempre con la certezza che qualcosa rimarrà da finire anche il giorno dopo, a Santo Stefano, per il pranzo degli avanzi.