Pellegrino Artusi, il maestro della tavola

Se passeggiamo per le vie del centro di una città del Bel Paese, è probabile che ci imbattiamo in numerose strade e piazze dedicate ai grandi nomi che hanno fatto l’Unità d’Italia: Giuseppe Garibaldi, il Conte di Cavour, Giuseppe Mazzini, Re Vittorio Emanuele II. Ma a ben guardare c’è un altro eroe nazionale il cui nome non sfigurerebbe tra questi, un uomo che non ha combattuto tanto a colpi di spada quanto di coltello e... forchetta! Si tratta di Pellegrino Artusi, il primo studioso e cultore della cucina italiana, che con il suo imprescindibile volume “La scienza in cucina e l’arte del mangiar bene” ha gettato le basi della cultura nazionale dal punto di vista dai fornelli, e non solo.

La Romagna e l’incontro con il “Passatore”

Pellegrino Artusi nacque nel 1820 a Forlimpopoli, cittadina della Romagna, allora all’interno dei confini dello Stato Pontificio. Lontana da Roma e dal controllo diretto del Papa, questa era una regione in continuo fermento, terra di commerci e di briganti, di preti e di rivoluzionari. Figlio di una famiglia benestante, Pellegrino, una volta terminati gli studi all’Università di Bologna, si dedicò a proseguire l’attività di famiglia nel commercio delle spezie. Gli anni presero a scorrere tranquilli fino a quando nel 1851 la famiglia Artusi non cadde vittima del temibile brigante Stefano Pelloni, detto “Il Passatore”, così chiamato per il mestiere del padre, traghettatore, o appunto “passatore”, sulle sponde del fiume Lamone. Passato alla storia come il “Robin Hood Romagnolo”, cantato e ricordato nelle storie popolari, il Passatore era un bandito senza scrupoli e gli Artusi rimasero talmente sconvolti quando costui fece irruzione nella loro casa per svaligiarla, che presero la decisione di trasferirsi nell’allora più sicura città di Firenze, capitale del Granducato di Toscana.

La Toscana e il successo di Pellegrino Artusi

Trovato impiego presso il porto di Livorno, Pellegrino Artusi divenne rapidamente un abile uomo di affari e raggiunti i cinquant’anni potè ritirarsi a vita privata. Ma col tempo, nella sua mente era cresciuta una nuova passione alla quale ora voleva dedicare tutto sé stesso e tutto il suo impegno: la passione per la cucina e la buona tavola. Avendo infatti vissuto a cavallo tra due regioni ricche di tradizioni gastronomiche come la Romagna e la Toscana, ed essendo entrato in contatto grazie al suo lavoro con usanze e pietanze di tutta la penisola, Pellegrino Artusi si era accorto, prima di chiunque altro nell’era contemporanea, dello straordinario patrimonio rappresentato dalla cucina italiana. Per Artusi ingredienti e preparazioni diventarono una vera e propria materia di studio. Comprendere le diverse sfumature regionali, le diverse occasioni in cui servire un piatto anziché un altro, come cuocere, come affettare, come portare in tavola: tutto questo veniva per la prima volta osservato e catalogato dall’occhio (e dal palato) sempre più esperto di Pellegrino Artusi.

La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene

I suoi sforzi confluirono nel 1891 nella fondamentale pubblicazione “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, prima vera opera antologica sulla tradizione culinaria italiana. Sebbene all’epoca non vi fosse un editore disposto a stampare un libro di cucina, idea evidentemente alquanto strampalata per i suoi contemporanei, Pellegrino Artusi investì in prima persona per dare alle stampe il volume e il successo fu immediato. Dal 1891 al 1911, anno della scomparsa di Artusi, si susseguirono 15 riedizioni, mentre ad oggi se ne contano oltre 100. Enormi furono anche gli incassi generati dai diritti dell’opera, diritti che egli, molto coerentemente, decise di lasciare in eredità ai suoi due cuochi, che grazie a ciò vissero di rendita per oltre cinquant’anni.

Cultura del cibo e cultura letteraria

La pubblicazione de “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” non rappresentò solo una “presa di coscienza culinaria” da parte degli abitanti dell’allora giovane Regno d’Italia, ma fu anche un vero e proprio fenomeno letterario. Si trattò a tutti gli effetti di uno dei primi libri scritti in italiano moderno a raggiungere un pubblico di massa in tutte le regioni del paese. Non a caso Pellegrino Artusi scriveva in un forbito toscano, la forma dalla quale si è standardizzato l’Italiano, in un paese allora largamente dominato dai dialetti e dalle parlate regionali. L’opera aveva anche quindi un’importante funzione educativa, e non solo in cucina. Una delle peculiarità della scrittura dell’Artusi era il suo ricorrere continuamente a commenti, storielle e altri elementi che arricchivano la semplice descrizione delle ricette. Questo stile narrativo divenne uno degli elementi di successo dell’opera. Creava curiosità e dava al lettore l’impressione di essere al cospetto di un affabile signore preso dal dissertare amabilmente di sapori e intingoli tra il ribollire della sua accogliente cucina, e non invece davanti ad un arido elenco di ingredienti e tecniche di cottura.  

Una tradizione che continua

Ancora oggi “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” è un riferimento imprescindibile per chi vuole conoscere davvero a fondo la cucina italiana, e Pellegrino Artusi è entrato nell’immaginario collettivo italiano come un nume tutelare della cultura nazionale. Ma un altro personaggio di questa storia è oggi ancora ricordato sulle tavole degli italiani. Infatti dal 1962 il volto scuro e tenebroso del “Passatore” è divenuto il marchio del Consorzio Vini di Romagna, ente di tutela e rappresentanza dei vini DOC della regione. Non è quindi improbabile vederlo ancora oggi, magari dall’alto del collo di una bottiglia di Sangiovese, spiare bramoso verso le ricchezze dell’Artusi, racchiuse in una pietanza fumante.