Rimini è davvero una città dai mille volti. In pochi altri luoghi convivono anime così diverse tra loro, eppure tutte così rappresentative del carattere di chi li abita. È il centro della riviera romagnola, città delle vacanze e del divertimento, ma è anche un’antica colonia romana, ancora oggi ricca di monumenti. È una città di mare, che lega all’Adriatico parte considerevole della sua economia, ma è anche il capoluogo di un entroterra ricco di storia e cultura. Raccontata in modo commovente da Federico Fellini nel suo Amarcord, vissuta da Giovanni Pascoli, cantata da Fabrizio De André, Rimini semplicemente è una città che non si può non scoprire.

Colonia romana e corte rinascimentale

Furono i Romani a fondarla nel 268 a.C. identificando nel punto in cui il fiume Marecchia sfocia nell’Adriatico un luogo di importanza strategica. Tutt’ora la città moderna conserva notevoli testimonianze dell’antica Ariminum, a partire dall’Arco di Augusto, il Ponte di Tiberio e le rovine dell’anfiteatro. E fu proprio davanti alle legioni di stanza a Rimini che Giulio Cesare pronunciò la famosa frase “Il dado è tratto” prima di condurre il suo esercito oltre il fiume Rubicone.

Particolarmente importante per Rimini fu l’epoca rinascimentale, quando sotto la signoria dei Malatesta si arricchì di opere e monumenti, grazie all’arrivo in città di alcuni dei più straordinari artisti e uomini di cultura del tempo. Simbolo di questa stagione è certamente il Tempio Malatestiano, cattedrale della città, opera di Leon Battista Alberti. Al suo interno è poi custodita un’altra straordinaria testimonianza della Rimini rinascimentale: l’affresco monumentale Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a San Sigismondodi Piero della Francesca.

Capitale del turismo

Ma appunto Rimini è oggi anche e soprattutto una capitale del turismo in Italia, centro nevralgico di quella riviera romagnola che è diventata un modello internazionale per quanto riguarda l’accoglienza alberghiera, il divertimento e il benessere, con offerte davvero per tutti i gusti. Questo successo è frutto di un intreccio di intuizioni e opportunità, che parte dai chilometri di spiaggia che si susseguono a perdita d’occhio lungo la costa adriatica, passa per la creatività e l’inesauribile spirito d’iniziativa dei suoi abitanti, fino a intercettare un territorio ricco di tradizioni enogastronomiche e culturali. Da quando la villeggiatura era cosa per pochi aristocratici, epoca che vide l’apertura nel 1843 del primo stabilimento balneare e nel 1908 del famoso Grand Hotel, l’evoluzione del settore è stata travolgente. Con oltre 1.000 alberghi Rimini oggi rappresenta da sola un quarto dell’intera capacità ricettiva dell’Emilia Romagna. Il boom economico l’ha vista diventare prima la capitale del turismo di massa in Italia, quindi la meta preferita per i villeggianti provenienti dalla Germania e dal Nord Europa. Negli anni più recenti la frontiera è diventata la Russia, con l’incessante via vai di voli che all’aeroporto di Rimini Miramare atterrano e partono da e per Mosca e Sanpietroburgo.

La sfida tra piadina e crescione romagnolo

Ma poco importa se stiamo tornando dalla spiaggia con ancora la sabbia nelle ciabatte, o se stiamo passeggiando la sera in Piazza Cavour: quando l’aria di mare ci stuzzica l’appetito, cosa sarebbe Rimini senza i suoi chioschi della piadina? E davvero è quasi incredibile come un cibo così semplice ed essenziale sia il perfetto simbolo di questa città, che continua a vivere con un piede nella tradizione e uno nel futuro.  Ma un momento… se la piadina ha ormai ampiamente conquistato la fama che merita, cosa dovremmo dire del crescione romagnolo? È solo un fratello minore o piuttosto un fiero rivale in fatto di sfide all’appetito?

La piadina e il crescione romagnolo (o meglio, “piada” e “cassone” per i riminesi) nascono come un cibo popolare, un pane alla portata di tutti, preparato con grande semplicità. Alla base dell’impasto, uguale per entrambi, ci sono farina, acqua, sale e strutto. A seconda della località e delle usanze viene incluso spesso anche il bicarbonato, più raramente il latte. Una delle varianti più recenti è invece quella di utilizzare l’olio d’oliva al posto dello strutto. Una delle caratteristiche che rispecchia maggiormente la territorialità riguarda lo spessore che piadina e crescione romagnolo devono avere. Infatti nell’entroterra, a partire da Forlì e Cesena, e scendendo verso Ravenna, si preferisce lasciare l’impasto bello alto. Mentre a Rimini e lungo la costa che prosegue verso le Marche, lo si continua a lavorare con il mattarello fino a che non diventa decisamente più sottile.

Ma se fino a qui piadina e crescione romagnolo sono andati di pari passo, dov’è che si separano l’una dall’altro per fronteggiarsi dall’alto dei menu di locali e chioschi (le famose “baracchine”). Bè, niente di più facile! La piadina viene semplicemente cotta sulla piastra ben calda e quindi, una volta pronta, è servita insieme al suo companatico: più tipicamente un salume del territorio e/o unformaggio fresco. Invece per fare il crescione romagnolo l’impasto steso viene riempito, piegato e chiuso premendo sui bordi con i rebbi di una forchetta, prima di essere messo a cuocere sulla piastra. Una preparazione classica è quella con pomodoro e mozzarella, anche se la versione più tradizionale prevede sia farcito con erbe di campo.

Capite quindi che queste due preparazioni comportano sottili, ma evidenti differenze. Difficile scegliere… abbiamo più voglia di una bella piadina, condita ad esempio con prosciutto crudo e stracchino, o a farci gola è il cuore caldo e magari filante di un crescione? Ardita scelta! Ma certamente sono entrambe da provare. Oppure, più semplicemente, possiamo evitare di scegliere e gustarle entrambe, magari condividendo con i commensali.